Uno stagno.
Acqua ferma e putrida.
Acqua che tiene insieme vecchi pensieri già macinati, vecchi smaghi già respinti, vecchi odori che hanno a lungo nauseato, vecchio marciume.
Tutti li, stretti insieme.
Pesantezze confinanti.
Ecco dove vado a finire io a volte.
Immalgata in acque torbide e paralizzanti, come una ranocchia ingessata e stordita da trauma cranico.
Anziché gustare i sapori del mondo, anziché rincorrerne le arie, anziché roteare come una girandola sui sali e scendi celesti, con le gambe che ho, mi tappo il naso ed ingoio zanzare amare.
Una cosa volevo ricordare a me stessa.
Ciccia, non esiste un premio per chi inghiotte più merda o dolore.
Ciccia, chi cazzo ti forza a rimanere li, se non quella tua dura testa da mulo?
Ciccia, ma sta cazzo di punizione autoimposta, a cosa è dovuta poi?
Ciccia, caricarsi i pesi del mondo serve unicamente a spaccarsi la schiena.
Ciccia, essere felici non è una colpa.